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Ucraina, riserve di Forex mai così alte dai tempi dell’URSS

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Le riserve di valuta estera su cui l’economia ucraina può fare affidamento, secondo gli ultimi dati ufficiali sono arrivate a $39 miliardi. Si tratta della cifra più alta mai raggiunta in trent’anni, cioè da quando il paese è diventato ufficialmente indipendente e non più parte dell’Unione Sovietica. Malgrado la guerra estremamente costosa, il supporto finanziario da parte delle nazioni Occidentali sta dando i suoi frutti. La situazione è anche stata favorita dalla continuità dell’export di materie prime agricole, la principale voce di esportazioni dell’economia locale. Una situazione che, però, potrebbe essere ora minacciata dal timore che la Russia abbandoni l’accordo che permette alle navi ucraine di mantenere attive le proprie rotte commerciali.

Grazie all’aumento delle riserve di valuta estera, non soltanto l’Ucraina può continuare a finanziare il proprio sforzo bellico. Si tratta di una risorsa essenziale anche per garantire la stabilità del cambio sui mercati Forex, così da garantire la stabilità dell’economia. Il PIL ucraino è crollato di oltre il 30% nel 2022 per effetto dello scoppio della guerra, ma nel corso del 2023 ha dimostrato una sorprendente resilienza. Le zone occidentali del paese, meno toccate dal conflitto, continuano a sostenere l’attività economica e i livelli di esportazioni essenziali per le riserve di valuta estera.

presentazione della notizia sul record di riserve Forex in Ucraina
Grazie all’aiuto degli Stati Uniti e degli alleati europei, le riserve Forex in mano alla banca centrale ucraina sono sufficienti a coprire le uscite in dollari

Fondamentale l’aiuto delle potenze occidentali

Chiaramente l’Ucraina non avrebbe raggiunto un record di riserve Forex in questo momento se non fosse per l’aiuto dell’Occidente: tutta Europa, gli Stati Uniti e gli altri alleati della NATO si sono impegnati ad aiutare la nazione a sostenere economicamente lo sforzo bellico. Il conflitto è ormai arrivato a superare i 16 mesi di durata, senza accennare a rallentare: con la controffensiva ucraina che cerca di guadagnare spazio sul fronte di battaglia, è essenziale che Zelenskyy e il suo esercito possano contare su una fonte costante di sostegno economico da parte degli alleati.

Secondo i dati pubblicamente disponibili, fino a questo momento l’Ucraina ha ricevuto $23.6 miliardi di aiuti finanziari da parte dei paesi alleati. Soltanto a giugno sono stati inviati $1.6 miliardi dall’Unione Europea e $1.2 miliardi dagli Stati Uniti. Il mese precedente, le riserve di valuta estera ammontavano a 37.3 miliardi di dollari: la variazione mensile è stata dunque positiva per $1.7 miliardi. Sono arrivati aiuti anche da parte del Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale e dal governo finlandese. Per quanto la guerra sia estremamente costosa, pare che tutto lo sforzo occidentale sia riuscito nell’intento di garantire stabilità -e persino crescita- alle riserve di valuta estera della banca centrale ucraina.

grafico riserve di valuta estera Ucraina
Il grafico mostra l’andamento delle riserve Forex in Ucraina negli ultimi 5 anni

Un record in continuo aggiornamento

Il fatto che le riserve di valuta estera in Ucraina abbiano raggiunto un nuovo record storico, in realtà, non è una vera sorpresa. Quasi ogni mese del 2023 è stato segnato dal raggiungimento di un nuovo picco, con gli aiuti che per il momento riescono a superare i livelli di spesa. Inoltre la nazione ha ridotto sensibilmente la domanda di valuta estera, cosa che ulteriormente aiuta a proteggere le riserve di dollari in mano alla banca centrale. Gli aiuti finanziari possono essere utilizzati per comprare armamenti, ma anche per permettere alla banca centrale di intervenire a sostegno del tasso di cambio nel caso in cui la valuta locale precipiti nel mercato Forex.

Bisogna notare che gli interventi della banca centrale, come dichiarato dallo stesso governatore Andriy Pyshnyi, sono diminuiti stabilmente nel corso dei mesi. Sembra che l’economia ucraina abbia assorbito lo shock iniziale della guerra, e che ora la valuta si sia stabilizzata rispetto all’euro e al dollaro. Inoltre è diventato chiaro che il sostegno finanziario occidentale sia continuo e sufficiente a coprire le uscite in valuta estera, offrendo alla banca centrale la sostenibilità necessaria per garantire -per quanto possibile- un funzionamento efficiente dell’ecosistema finanziario locale. Rimane il dubbio di cosa decideranno di fare le nazioni occidentali con i debiti contratti dall’Ucraina una volta che la guerra sarà finita, dal momento che teoricamente molti aiuti sono offerti sotto forma di prestito.

Laureato in Economia Aziendale all'Università degli Studi di Torino, digital nomad e investitore esclusivamente in azioni. Gestore e chief-analyst del portafoglio azionario di TradingOnline.com. "Anche se difficile da ricordare a volte, un'azione in realtà non è un biglietto della lotteria...è la proprietà parziale di un'azienda" - Peter Lynch

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Investimenti

Fondo Monetario avvisa il Giappone: “Controllare il debito e stabilizzare inflazione al 2%”

Arriva il perentorio avviso del Fondo Monetario Internazionale riguardo la politica fiscale giapponese.

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JPN FMI

Krishna Srinivasan – che è a capo del Dipartimento Asia e Pacifico del Fondo Monetario Internazionale, è intervenuto sulla situazione debitoria del Giappone, invitando il paese del Sol Levante a iniziare a discutere di taglio dell’enorme mole di debito pubblico che attanaglia l’economia ormai da più di due decenni. Un intervento che arriva a poco dal fallimento politico del governo in carica, fallimento che è stato confermato dai risultati delle ultime elezioni nel paese. Elezioni dalle quali sono usciti equilibri che almeno per il momento sembrerebbero lasciare poco spazio a decisioni nette in campo fiscale e monetario.

Il canovaccio potrebbe essere quello di sempre: a fronte di maggioranze barcollanti potrebbe aumentare la spesa pubblica, favorendo politiche fiscali lassiste che – in una situazione come quella del Giappone – potrebbe facilmente dare spazio a ulteriori espansioni del debito pubblico. Una potenziale situazione che Srinivasan, a nome del Fondo Monetario Internazionale, vorrebbe certamente scongiurare.

Serve un piano credibile di medio termine

Il piano del Fondo Monetario Internazionale è chiaro: è stato richiesto al Giappone, tra le altre cose pubblicamente, un piano di medio termine che sia credibile in termini fiscali. In aggiunta, il FMI chiede la creazione di buffer che salvaguardino l’andamento dell’economia giapponese da un’eventuale crisi debitoria, tanto di breve quando di medio e lungo periodo.

Per quanto riguarda la politica monetaria, il FMI si aspetta che Bank of Japan favorisca il ritorno stabile ad un’inflazione intorno al 2%, che dovrebbe prevedere decisioni di breve periodo dettate dai dati e dalle effettive possibilità che le grandezze macro offriranno alla banca centrale. E, prima della chiusura, arriva la sconfessione di quanto BoJ racconta in termini di situazione dello yen: se da Tokyo continuano a puntare il dito verso non meglio precisati speculatori, il FMI ribadisce che anche la grande volatilità delle ultime settimane è in realtà frutto di questioni macro piuttosto credibili.

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Sullo yen domina ancora l’incertezza e registra un misero +0,28%. Riflettori puntati sulla BOJ e la Fed

Le quotazioni dello yen sono dominate dall’incertezza. I riflettori, ora come ora, sono puntati sulla BOJ e sulla Fed.

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Sullo yen domina ancora l'incertezza e registra un misero +0,28%. Riflettori puntati sulla BOJ e la Fed

A pesare sulle quotazioni dello yen continuano ad essere i risultati delle elezioni in Giappone, dove la coalizione di governo ha perso la maggioranza parlamentare. Un cambio di passo politico che ha aumentato una serie di incertezze sulle prospettive politiche e monetarie del Paese.

Il dollaro, invece, si è rafforzato e ha raggiunto il suo recente massimo in vista della pubblicazione di una serie di dati importanti nel corso della settimana, che potrebbero condizionare la politica della Federal Reserve.

Lo yen registra un misero +0,28%

Lo yen ha registrato un +0,28% scambiato a 152,86 dollari, dopo che nella giornata di ieri (28 ottobre 2024) è crollato ad un minimo di 153,885, il livello più debole da luglio: le incertezze sulla composizione del futuro governo in Giappone pesano sui mercati valutari.

Katsunobu Kato, Ministro delle Finanze giapponese, ha spiegato che le autorità continueranno ad essere attente alle oscillazioni dei tassi di cambio. 

Sono in molti ad attendersi un periodo contraddistinto da delle lotte per garantire una coalizione, dopo che il Partito Liberal Democratico e il suo partner Komeito sono riusciti a conquistare solo 215 seggi alla Camera Bassa: per ottenere la maggioranza ne erano indispensabili almeno 233.

Carol Kong, stratega valutario presso la Commonwealth Bank of Australia, ha spiegato che nel complesso i rischi sembrano essere orientati verso una politica fiscale più accomodante rispetto a quella adottata dal governo uscente. Carol Kong ritiene che insieme ai solidi dati economici degli Stati Uniti e alle maggiori prospettive di una vittoria di Trump, l’incertezza politica in Giappone potrebbe spingere al rialzo il cambio dollaro/yen nelle prossime settimane.

Ma non solo. Carol Kong aggiunge che l’elevata volatilità dei mercati finanziari potrebbe anche incoraggiare la Banca del Giappone (BOJ) a mantenere invariato il tasso di interesse di riferimento per un periodo più lungo di quanto attualmente previsto.

Lo yen si è avvicinato al minimo degli ultimi tre mesi e si è attestato a 165,24 contro l’euro e 198,12 contro la sterlina.

La BOJ, nel corso della giornata di giovedì, annuncerà la sua decisione di politica monetaria e sono in molti ad aspettarsi che la banca centrale decida di mantenere i tassi invariati.

Il dollaro continua a rimanere forte

Il dollaro si è stabilizzato e ha oscillato in un intervallo ristretto. Gli investitori sono stati titubanti nell’assumere nuove posizioni prima della pubblicazione dei dati; l’indice del dollaro è rimasto pressoché invariato a 104,29.

L’euro è rimasto invariato a 1,0811 dollari, mentre la sterlina è scesa dello 0,07% a 1,2963 dollari.

Una serie di dati economici che sottolineano la resilienza dell’economia statunitense hanno rafforzato il dollaro statunitense nel corso dell’ultimo mese, così come sono aumentate le scommesse di mercato su una vittoria del candidato repubblicano Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi della prossima settimana.

Le politiche di Trump in materia di tariffe, tasse e immigrazione sono considerate inflazionistiche, quindi negative per i titoli di Stato e positive per il dollaro.

L’attenzione è rivolta anche alla lettura dell’indice dei prezzi alla produzione di beni di consumo personali di settembre negli Stati Uniti (la misura preferita della Fed per l’inflazione) che uscirà giovedì, seguito dall’attento rapporto sulle buste paga non agricole di venerdì.

Ray Attrill, responsabile della strategia FX presso la National Australia Bank, spiega che i dati sull’occupazione di venerdì – se il PCE sarà pari allo 0,2% o allo 0,3% – saranno piuttosto importanti. Anche se le elezioni sono probabilmente il fattore più importante per la prossima settimana e potrebbero portare ad un aggiustamento dei prezzi.

Per quanto riguarda le altre valute, il dollaro neozelandese è sceso dello 0,13% a 0,5973 dollari, mentre il dollaro australiano è scivolato al suo livello più debole in oltre due mesi a 0,65602 dollari.

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Lo yen crolla condizionato dalle elezioni in Giappone. Si teme un governo debole

A condizionare in maniera negativa lo yen sono le elezioni in Giappone, che potrebbero determinare una certa instabilità politica.

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Lo yen crolla condizionato dalle elezioni in Giappone. Si teme un governo debole

Lo yen giapponese, in mattinata, è sceso al minimo degli ultimi tre mesi: gli investitori ritengono che la perdita della maggioranza parlamentare da parte della coalizione di governo in Giappone potrebbe rallentare l’aumento dei tassi d’interesse. Il dollaro, invece, si è proiettato verso un guadagno mensile beneficiando dell’aumento dei rendimenti dei Titoli del Tesoro statunitensi.

Nel corso della sessione asiatica lo yen si è indebolito, raggiungendo quota 153,88 dollari e 166,06 euro, che corrispondono al valore più basso registrato su entrambi i fronti dalla fine del mese di luglio. In valori percentuali, l’ultimo calo dello yen è stato pari allo 0,7% rispetto al dollaro – da ottobre è stata registrata una discesa del 6,4% – il più grande di tutte le valute del G10. Gli investitori e gli analisti temono che possa aprirsi, in Giappone, un periodo contrassegnato da lotte politiche il cui obiettivo sarebbe quello di garantire una coalizione dopo che il Partito Liberal Democratico e il suo alleato Komeito hanno vinto 215 seggi alla Camera bassa, rimanendo al di sotto della maggioranza prevista (233 seggi).

Yen e i timori sul futuro della politica monetaria

A condizionare il futuro dello yen è la stabilità politica del Giappone. Gli operatori di mercato ritengono che le elezioni potrebbero portare alla formazione di un governo privo della forza politica necessaria per gestire l’aumento dei tassi d’interesse. Ma soprattutto potrebbero inaugurare un’era di leadership a porte girevoli.

Fumio Kishida è rimasto in carica poco meno di tre anni. Il suo successore Shigeru Ishiba è il quarto primo ministro del Giappone in poco più di quattro anni: come se questo non bastasse, si prevede un’ulteriore instabilità politica che potrebbe portare la Banca Centrale giapponese a muoversi con cautela (si deve riunire questa settimana per stabilire i tassi).

Bart Wakabayashi, direttore della filiale di Tokyo di State Street, spiega che un’altro fattore da considerare. quando si guarda all’economia. è se nel corso dei prossimi ci possano essere una nuova serie di primi ministri: situazione che non farebbe bene allo yen.

Gli analisti della BNY hanno affermato che il prossimo obiettivo immediato per il cambio dollaro/yen sarà 155, con 160 come probabile limite che richiederebbe l’intervento del ministero delle finanze.

Come si sta muovendo il dollaro

Dando uno sguardo a quanto sta avvenendo negli Stati Uniti, il dollaro brilla ed è sulla buona strada per registrare il più importante aumento mensile degli ultimi due anni e mezzo. Questo è, indubbiamente, un segnale di forza dell’economia statunitense. Le scommesse sulla vittoria di Donald Trump alla presidenza hanno sollevato i rendimenti statunitensi in previsione di politiche che potrebbero ritardare i tagli dei tassi di interesse.

A 1,0790 dollari, l’euro è rimasto stabile ma è sceso di oltre il 3% nell’arco dell’ultimo mese. La sterlina viene scambiata a 1,2952 dollari e ha registrato un calo del 3,1% fino a ottobre.

I rendimenti dei titoli del Tesoro decennali sono aumentati di 40 punti base a ottobre, rispetto a un aumento di 16 punti base per i bund decennali e di 23 punti base per i gilt.

Un’ulteriore frenata dovuta alla delusione per i piani di stimolo della Cina ha messo sotto pressione il dollaro australiano e quello neozelandese, che sono scesi ai minimi degli ultimi 2 mesi e mezzo lunedì. Le vendite hanno portato il kiwi a 0,5958 dollari e una perdita del 6% per ottobre, mentre l’Aussie è sceso a 0,6579 dollari e ha perso il 4,6% a ottobre.

L‘indice del dollaro USA è salito del 3,6% a 104,46 nel mese di ottobre, registrando il rialzo mensile più netto da aprile 2022.

La settimana che ci attende sarà densa di dati: dati sull’inflazione in Europa e Australia, dati sul prodotto interno lordo negli Stati Uniti e indici dei responsabili degli acquisti in Cina.

I dati del fine settimana hanno mostrato che gli utili industriali in Cina sono crollati a settembre, con un calo annuo del 27,1%. Lo yuan ha toccato il minimo da fine agosto, attestandosi a 7,1355 per dollaro.

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Euro e yen recuperano terreno rispetto al dollaro. La moneta unica registra un +0,2% sul biglietto verde

L’euro e lo yen riescono a recuperare terreno nei confronti del dollaro. Scopriamo come si stanno muovendo le principali valute a livello globale.

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Euro e yen recuperano terreno rispetto al dollaro. La moneta unica registra un +0,2% sul biglietto verde

Riflettori puntati sullo yen giapponese e sull’euro, che sono saliti dai recenti minimi. Il dollaro, invece, ha registrato una vera e propria battuta d’arresto dopo una crescita inarrestabili, che lo ha portato a sfiorare il massimo da tre mesi a questa parte. Il biglietto verde, inoltre, è sostenuto dalle aspettative di un ritmo più lento nei tagli dei tassi d’interesse da parte della Fed.

L’euro si è quindi rafforzato registrando un +0,2% scambiato a 1,080075 dollari, dopo aver sfiorato il minimo da quattro mesi a questa parte fissato a 1.07612 dollari. A settembre l’attività commerciale della zona euro si è nuovamente bloccata. La contrazione in Germania, però, è stata meno ripida rispetto a quella registrata ad agosto.

Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa sta accadendo.

Come si sta muovendo la Zona Euro

Kenneth Broux, responsabile della ricerca aziendale FX e tassi presso Societe Generale, ritiene che stiamo assistendo a un leggero rimbalzo. Questo, ad ogni modo, non impedisce al mercato di prezzare ulteriori tagli da parte della Bce.

Il mercato sembra credere alla possibilità di ulteriori e più consistenti tagli dei tassi da parte della Banca Centrale Europea, che potrebbero avere delle ripercussioni negative sull’euro già da questo mese. A pesare sull’andamento della moneta unica sono le affermazioni di alcuni membri del board della Bce che hanno messo in guardia sul rischio di non raggiungere l’obiettivo di inflazione del 2% fissato dalla Bce. Siamo davanti ad un netto cambiamento di tono dopo una campagna durata due anni per frenare la crescita dei prezzi.

Christine Lagarde, presidente della Bce, si è dimostrata cauta, affermando che i vari responsabili politici devono prestare attenzione nel momento in cui rilasciano delle affermazioni pubbliche. Il collega Mario Centeno ha suggerito che i tassi potrebbero essere tagliati di 50 punti base nella prossima riunione della banca centrale del 12 dicembre.

Soffermandosi sulle prospettive dell’euro, Broux ha spiegato che il rischio è di ribasso in vista delle elezioni statunitensi, poiché saranno in molti a posizionarsi a favore della reflazione di Trump, il che significa rendimenti statunitensi più elevati rispetto a quelli tedeschi.

L’indice del dollaro, che misura il biglietto verde rispetto ad altre sei valute, tra cui euro e yen, si è attestato a 104,20, non lontano dal massimo notturno di 104,57, un livello registrato l’ultima volta il 30 luglio.

Secondo FedWatch del CME Group, una serie di solidi dati economici e alcuni commenti aggressivi da parte dei funzionari della Fed hanno moderato le speranze di un allentamento monetario negli Stati Uniti nei prossimi mesi.

Le aspettative sono per un totale di 50 punti base di riduzione dei tassi nelle restanti due riunioni della Fed del 2024 si attestano intorno al 70%. I trader stanno puntando il 95% di possibilità su un taglio dei tassi di un quarto di punto alla prossima riunione di novembre della Federal Reserve e non scommettono su una riduzione più ampia di 50 punti base. Questo rispetto a una divisione del 60%-40% che pendeva a favore di un taglio più ampio un mese fa.

Lo yen riesce a trovare un po’ di tregua

Lo yen ha avuto un po’ di tregua, dopo essere crollato ai minimi di fine luglio, mentre il ministro delle finanze giapponese ha affermato che i funzionari stanno osservando i movimenti del tasso di cambio con maggiore vigilanza, invocando il rischio di un intervento. L’ultima volta che la valuta giapponese è stata scambiata è stato a 151,925 per dollaro.

Secondo recenti sondaggi , il governo di coalizione giapponese, guidato dal nuovo Primo Ministro Shigeru Ishiba, rischia di perdere la maggioranza del parlamento alle elezioni di domenica; inoltre, qualsiasi aumento dell’incertezza politica complicherebbe ulteriormente i piani della Banca del Giappone per la normalizzazione della politica monetaria.

Kazuo Ueda, governatore della BOJ, ha detto durante la notte che ci vuole ancora tempo per raggiungere in modo sostenibile l’obiettivo di inflazione del 2% della banca centrale, e ha segnalato che gli aumenti dei tassi saranno fatti con cautela e gradualmente.

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Dollaro, la forte economia statunitense e gli impulsi di Trump gli danno vigore

Il dollaro beneficia della forte economia statunitense e delle aspettative relative alla possibile vittoria di Donald Trump.

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Dollaro, la forte economia statunitense e gli impulsi di Trump gli danno vigore

Il dollaro è salito mentre i Bitcoin hanno raggiunto il massimo da tre mesi a questa parte. I mercati, ad ogni modo, sembrano essere influenzati più che altro dall’aumento dei rendimenti obbligazionari statunitensi e dalle imminenti elezioni presidenziali.

La scorsa settimana i movimenti valutari hanno cavalcato il taglio dei tassi d’interesse della Banca Centrale Europea e hanno beneficiato dei solidi dati provenienti dagli Usa, che hanno ridimensionato le aspettative sulla rapidità attraverso la quale la Fed possa decidere di farli scendere. In particolare nel caso in cui donald trump dovesse vincere le elezioni

L’indice del dollaro, che misura il biglietto verde rispetto alle principali valute rivali, è salito dello 0,17% a 103,65. Venerdì risulta essere sceso dello 0,3%: il motivo è da ricercare nella propensione al rischio che è aumentata dopo che la Cina ha fornito maggiori dettagli sul suo ampio pacchetto di stimoli. Ma nel corso della settimana ha registrato guadagni dello 0,55%.

Sceso dello 0,16% l’euro scambiato a 1,0849 dollari, mentre la sterlina ha perso lo 0,18% a 1,3025 dollari.

In cosa consiste la forza del dollaro

Erik Nelson, stratega macroeconomico di Wells Fargo, spiega che la forza del dollaro è stata condizionata in gran parte dai tassi ed è stata una questione di crescita relativa. Secondo Nelson ci sono stati alcuni dati relativamente solidi negli USA, a partire dal rapporto sull’occupazione di inizio mese. Ma non solo: ci sono state le vendite al dettaglio decenti, il PIL che sta seguendo un andamento piuttosto buono in questo trimestre. D’altra parte l’Europa non sta andando altrettanto bene, la Bce è dalla parte dei accomodanti: è stata questa storia di divergenza.

Ad aiutare il dollaro, secondo molti analisti, ci sono anche i sondaggi che indicano un aumento delle probabilità che Donald Trump vinca le elezioni il prossimo 5 novembre. Le sue proposte di politica tariffaria e fiscale sembrerebbero destinate a mantenere elevati i tassi di interesse statunitensi e a danneggiare i partner commerciali.

Bitcoin ha ricevuto una spinta, poiché ci si aspetta che l’amministrazione Trump adotti una linea più morbida sulla regolamentazione delle criptovalute. L’ultima volta è sceso dello 0,1% a 68.333 dollari dopo aver toccato in precedenza 69.487 dollari, il suo massimo da fine luglio.

A scendere è lo yen giapponese

Scende dello 0,24% lo yen, che è scambiato a 149,89 dollari, dopo che in passato a superato il livello di 150, cosa che ha fatto brevemente la scorsa settimana per la prima volta da inizio agosto.

Chris Weston, responsabile della ricerca presso il broker online australiano Pepperstone, ha spiegato che il modo più chiaro per esprimere il rischio tariffario di Trump era acquistare dollari anziché euro, franchi svizzeri e pesos messicani. Secondo Weston i trader devono decidere se questo è il momento giusto per iniziare a piazzare operazioni elettorali con maggiore convinzione.

La scorsa settimana, lo yen è sceso dello 0,3%, l’euro dello 0,6% e la sterlina è rimasta invariata. Il peso messicano è sceso del 3%. L’euro è sceso di oltre il 3% in tre settimane, ha superato la media mobile a 200 giorni e si è attestato vicino al minimo degli ultimi 2 mesi e mezzo.

Il divario tra i rendimenti dei titoli di Stato americani e tedeschi a 10 anni si è ampliato fino a circa 189 punti base (bps), poiché i rendimenti statunitensi sono aumentati nelle ultime settimane, mentre quelli tedeschi sono diminuiti.

Anche in Gran Bretagna i rendimenti si sono mossi contro la sterlina questo mese, a causa di dati più deboli sull’inflazione e delle aspettative che il ministro delle Finanze Rachel Reeves annuncerà un bilancio favorevole alle obbligazioni il 30 ottobre.

Lo spread tra i rendimenti dei titoli di Stato statunitensi e quelli dei titoli di Stato è passato da 24 punti a favore della sterlina a 3 punti negativi.

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